Giovanni Morelli, I pericoli di Elia 7, china, 1967/68 ca.

Vero, verissimo, sono ben assicurato
e i padroni del locale, mi amano
ma, quanti miei ex colleghi
stazionano oggi su una
poltrona a rotelle!
Vero, verissimo, è più pericoloso
lavorare in una fabbrica di cellophane,
perché il cellophane (si sa)
fa venire il cancro,
come i benzoli, la nicotina, la gommapiuma
e forse anche il guano.
Vero, verissimo, mi sono esercitato a lungo,
si può dire che l'acrobazia
l'ho nel sangue,
e mi può mancare tutto
ma non certo il senso dell'equilibrio.
Ma vi prego di notare
che l'equilibrio nel mio mestiere non è tutto.
I fattori casuali non si contano
La fortuna, la buona e la cattiva occasione,

Ditemi solo voi cosa succederebbe
Se a questo gatto venisse in mente di spiccare un salto
e di morsicare il mio pesce


Pensieri per Giovanni

Maurizio Corbella | 14 settembre 2020


In effetti, ricordando con attenzione, il senso primordiale del volgarizzamento, “volgarizzamento” medioevale, alle origini contenutistiche e alle radici lessicali della idea stessa – europea – di quella indefinibile combinazione – che definisce le prime traduzioni dei classici in volgare – di un punto di fissazione dei testi e di una sua mobile tramutazione in altra, nuova, o giovine lingua, non è un vero puro modello di “trasmissione culturale”. Più che sul piano della trasmissione, facilitata, ravvivata, diffusa, il “volgarizzamento” antico cerca un transito ermeneutico per il testo che cattura. Il che vuol dire: bloccare un testo, negargli l’inevitabile destino di corruzione-evoluzione per lezioni di forma e di senso che gli riserverebbe una riproduzione statica e sempre più – nella “distanza” epocale – ermetica, salvarlo all’attualità sottoponendolo a emendamenti critici, a letture approfondite e risonanti: falsandolo per il suo bene. In questo senso – antico – una volgarizzazione è quasi sempre un atto creativo più rischioso, più sofferto, più esposto, alle colpevoli cadute, di un qualsiasi altro atto di pura invenzione e creazione. […]

(Giovanni Morelli, Premessa alla periodizzazione (XIX secolo - prima guerra mondiale), in Round Table VI: Forme di volgarizzazione musicale nel XIX secolo e fino alla prima guerra mondiale, in Atti del XIV Congresso della Società Internazionale di Musicologia (Bologna 1987), a cura di Angelo Pompilio, Donatella Restani, Lorenzo Bianconi, F. Alberto Gallo, 3 voll., EDT, Torino, 1990, vol. I: Round Tables, pp. 427-444: 430)


Tra le qualità del complesso soggettivismo della scrittura di Morelli vi è quella di mettere il lettore in contatto con un io agente (agency) il quale, oltre a risolvere l’equazione tra autore e narratore in modo mai banale, si rende portatore di una dimensione letteraria prima ancora che di una presunzione di scientificità. La presenza di un «soggetto lirico» che incorpora vari agenti, dalla prima alla «quarta persona» – per parafrasare un noto saggio di Morelli su Nino Rota – vale anche nell’analisi del Morelli autore (d’altronde è sensato ipotizzare un livello di immedesimazione dello studioso nei confronti del compositore milanese, ricercato nel segno di una “candidezza” volteriana). Allo stesso tempo, la poetica morelliana non tratta la “scientificità” come un totem da smantellare, nel segno di un radicalismo spinto che poteva essere rintracciato in certe letture soggettiviste dei “padri” del pensiero postmoderno. Pare di scorgere al contrario […] un nucleo in fin dei conti anti-relativistico che conduce Morelli ad ancorarsi al fatto storico musicale come portatore di istanze veritative sul piano estetico, etico ed esistenziale. Il catalogo mozartiano come discorso sulla storia è in altre parole il “fine”, non il “mezzo”, dell’analisi morelliana; esso non serve a spiegare la storia della musica nel XIX secolo ma a specchiarsi nel suo carattere cangevole suggerendo percorsi possibili di narrazione.
La riflessione sui «tempi della volgarizzazione» musicale nel long nineteenth century appare nello specifico come una meditazione non solo sui «ritmi della storia» ma anche sui «ritmi della narrazione storica», per usare un’espressione che Carlo Ginzburg impiegò proprio nel contesto di una reazione contro la svolta relativistica impressa dalla critica postmoderna al modello storiografico negli stessi anni (siamo nel 1984) in cui la riflessione di Morelli si andava definendo.

[…]

Morelli enfatizza la dimensione necessaria dei processi di «falsificazione» ribaltandone la sintomatologia in senso positivo e insistendo su una storiografia che parta dal dato storico per scavare nel suo rimosso culturale. Questo atteggiamento partecipe segna, io credo, la distanza da Dahlhaus e la prossimità a sollecitazioni di tipo psicanalitico (soprattutto lacaniano).
A questo livello il “gioco” letterario di Morelli si salda con la sua impostazione teorica: esso pure è in effetti un atto «rischioso», «sofferto», «esposto alle colpevoli cadute», che si lascia plasmare dalla materia stessa degli oggetti che descrive. In questa chiave il discorso di Morelli assume i toni di un’esortazione (ma velata da un’autoironica coscienza del fatto che si è sempre a rischio di cedere allo spettro del nonsense, del “catalogo”) d’indirizzo per una musicologia pericolosamente chiusa nel canone dei grandi autori, un invito per la musicologia “storica” ad aprirsi verso le metodologie dell’etnomusicologia e, chissà, dell’allora giovane campo degli studi sulla popular music.


Ascolto proposto:

>>> Benny Goodman and His Orchestra, Bach Goes to Town: A Fugue in Swing Tempo (Alec Templeton, arrangiamento di Henry Brant, 1938), His Master’s Voice B.8879, 1939.

(Da Maurizio Corbella, «Il catalogo è questo»: Giovanni Morelli, la storiografia musicale e un dialogo (immaginario?) con l’etnomusicologia e i, popular music studies. In: Variazioni in sviluppo. I pensieri di Giovanni Morelli verso il futuro, a cura di Giada Viviani, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 2017, pp. 2-26.



Tra le vertiginose possibilità che si spalancano, nel provare a fermare in un ascolto il percorso multi-entrata proposto da Giovanni Morelli nella sua Premessa alla periodizzazione, ho scelto un brano che possiamo fare rientrare nel genere del ritratto musicale – popolarissimo negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso –, a sua volta sottogenere della parodia stilistica. Di detto genere fu alfiere il compositore gallese di nascita e statunitense d’adozione Alec Templeton (1910-1963).
Ero stato tentato dal suo Mozart Matriculates, che echeggia direttamente, ma forse un po’ superficialmente, l’idea del catalogo cui faccio riferimento nel titolo del mio saggio. Oppure le sue ancor più centrate “volgarizzazioni” del repertorio ottocentesco, quali le gustosissime The Shortest Wagner Opera Ever Written e As Brunnhilde’s Battle Cry Might Be Sung by an American Crooner. O per finire le sue compilation di Music Boxes (1955), vere e proprie antesignane della mood music, in cui il carillon è ri-mediato nostalgicamente come precursore del “moderno fonografo”.
Ma ho poi preferito attestarmi sul più “classico” Bach Goes to Town, diventato cavallo di battaglia di Benny Goodman fin dalla sua incisione del 1938 (qui limitata alla fuga foxtrot, laddove la composizione di Templeton prevede naturalmente anche un preludio swingante). La scelta mi permette infatti di far reagire le riflessioni di Morelli su più piani simultanei, da lui contemplati. Da una parte si ha una parodia faceta di Bach che diventa hit commerciale quasi “seria” nelle mani di un maestro dello swing – a suo modo egli stesso (Goodman) “volgarizzatore” del jazz, nel senso che Morelli avrebbe forse definito di «volgarizzazione colta». Dall’altro si ascolta il frizzante arrangiamento per big band di Henry Brant, compositore che negli anni ’30 a New York si afferma come arrangiatore per la radio, il cinema e il teatro musicale. Tale palestra polistilistica, che lo vede lavorare al fianco (o meglio all’ombra) di Aaron Copland, George Antheil, Virgil Thomson, Marc Blitzstein e molti altri, sarà una tappa fondamentale per la sua svolta “spaziale” a partire dagli anni ’50, all’indomani della sua personale assimilazione della lezione di Ives.
Un po’ come nelle traiettorie multidirezionali e centrifughe ipotizzate da Morelli, nulla in questi due minuti e mezzo di musica è (solo) ciò che sembra. Forse perché è esattamente quello che sembra: qualcos’altro. (Maurizio Corbella)

Pensieri per Giovanni