Giovanni Morelli, senza titolo, china, 1967/68 ca.

Tutte le mattine
all'alba
dall'unica finestra
dell'ala ovest,
il principe assoluto
spiava timoroso
la piazza vuota.
Non per calcolo politico,
non per l'oscuro presentimento
di una rivoluzione popolare.
(oh no!),
non per eccentricità di abitudini,
non per speculazione.
Il principe assoluto non era un tormentato,
neppure lucrava sulla popolarità
che gli sarebbe derivata
da un sincero impeto religioso,
o dalla gloria marziale
su un campo,
eppure i giro, i sudditi
dicevano
(spiandolo essi pure dalle persiane
fintamente serrate)
che la mattina
nella piazza vuota
dalla finestra Unica
dell'ala Ovest
il principe aspettava le fate.
Ed ecco che una bella mattina.....


Pensieri per Giovanni

Valentina Bensi | 14 marzo 2021


L’ansia sincera, ma potrei dire, anche e senza soverchia enfasi, il patema (o quel sentimento di cui ben dice il titolo del film di Wim Wenders dedicato alla paura del portiere davanti al calcio di rigore), l’ansia di riuscire o meno a cogliere un veritiero assetto della fisionomia del soggetto di questo ritratto – il musicista Luciano Berio (1925-2003), uno dei protagonisti della vita musicale del ventesimo secolo – mi spinge per ora a sospendere (per non dire tendere ad escludere) ogni decisione, sollecitata invece dal senso comune, a pro (come si fa, e forse si deve fare, nei veri ritratti) di una inquadratura diretta, prospettica, univocamente descrittiva, del personaggio. Un personaggio che io ritengo irriducibile ad un’osservazione non problematica (ne è prova, debole, ma sintomatica, la scarsa fotogenia di molte ‘fotografie’ a lui dedicate, che non l’hanno quasi mai colto qual era, quale voleva essere, qual è stato, qual è). […]

(Giovanni Morelli, Luciano Berio, in «Belfagor», vol. LXIV/2, Olschki, Firenze 2009, pp. 122-146)


Nella moltitudine sterminata degli scritti di Giovanni Morelli, orientarsi e scegliere quale aspetto riproporre induce una sorta di capogiro, una vertigine da mancanza di ossigeno in una scalata dell’Everest; ancora di più se si è consci in partenza di quanto sia irriducibile una sola breve prospettiva, dal momento che ogni discorso sulla musica è “un work in progress dello spirito”. Nel caso come questo di un saggio su Luciano Berio, urge forse una tabula rasa da cui partire; e allora il viaggio a cui Morelli candidamente ci invita diventa entusiasmante, per la ricchezza di dettagli panoramici e richiami testuali con cui accompagna il lettore: in fondo hay que caminar… Con sguardo minuzioso e attento, verticale ed orizzontale, Morelli avanza con passo felino su un chemin in cui molteplici ‘punti di una curva’ ben allineati offrono una linea cangiante che illumina i punti salienti della vis poetica di Berio e i loro richiami testuali. Da dove partire, in questo streben nach, in una ricerca del volto della verità? Per un ritratto ‘critico’ di un autore ‘contemporaneo’ si deve partire da un punto fermo e per Morelli lo è il suo atto di nascita, il 1925, condiviso con l’amico Boulez, al quale è accumunato dalla vexata quaestio in cui la loro generazione, quella dell’immediato dopoguerra, si trova coinvolta nella ricerca di una ‘direzione’ poetica in cui la ‘memorizzazione’ quindi il ‘ricordo del futuro’ è elemento imprescindibile. Morelli insiste poi fortemente sul tema dell’alterità, etnica, geografica e culturale, secondo la quale Berio non propone “selettive assunzioni di pattern storici”, ma afferma la “necessità, forse anche la igienicità, della neutralizzazione del lavoro”, basato sulla tradizione e sui suoi testi, in un ruolo che lo porta non a compiere l’usuale funzione di autore ma funzionalmente lo rende un ‘re in ascolto’ delle più svariate tecniche di applicazione intertestuale. Se queste confluenze e compresenze, incursioni tra passato e futuro, tra opera aperta e chiusa, sono tratti facilmente distintivi del compositore, altrettanto lo sono dimensioni ‘creative’ essenziali quali l’analisi e la poetica, che in Berio si fondono in modo indissolubile nel processo musicale. Con un’angolatura precisa, Morelli poi sostiene quanto il ‘cognome’ della poetica di Berio sia impregnato dell’esistenza dell’altro, una “divinità biologica” del comporre che si manifesta in ogni ‘sequenza’ musicale, in un tentativo di ridurre quel distacco tra interprete e autore pur mantenendo quella magna distantia tra creato e creatore… Nella ricerca beriana di ‘riempire’ lo spazio sonoro, non vanno trascurati tutti gli strumenti a disposizione: e qui Morelli, da sempre attentissimo ai più svariati ‘scenari della lontananza’, sottolinea con particolare vigore, dettato anche dalle sue profonde competenze mediche, gli orizzonti dischiusi dalla neuro-estetica magistralmente intravvisti da Berio in conclusione alle Norton Lectures del ’93. Vedute importantissime per l’avvenire, confermate dalla successiva scoperta dei neuroni specchio: considerazioni attuali, proprie di uno ‘sguardo fuori di sé’.


Ascolto proposto:

>>> Luciano Berio Points on the curve to find, Folk Songs, Sequenza VII, Laborintus II. ERMITAGE (ERM 164-2), 1995. Allegato sul numero 56, novembre 1995, della rivista italiana Symphonia.*

Orchestra della Radio della Svizzera Italiana
Antony di Bonaventura, pianoforte;
Cathy Berberian, mezzosoprano;
Luciano Berio, direttore
Heinz Holliger, oboe;
Luisa Castellani, soprano; Isabelle Mili, soprano; Magali Schwartz, soprano; Federico Sanguineti, recitante; Gruppo Contrechamps, Ensemble e Coro Contrechamps; Giorgio Bernasconi, direttore.

Durante il siglo de oro della produzione musicale della Radiotelevisione svizzera, ovvero il lungo periodo che ha visto Carlo Piccardi – musicologo ticinese stimatissimo da Giovanni Morelli – alla guida della Rete Due, sono state confezionate registrazioni discografiche di mirabile valore. Valore senza dubbio tecnico, per la qualità degli studi e delle tecnologie utilizzate, e nondimeno artistico, visti i compositori di spicco ingaggiati a Lugano. Uno di questi nel 1976 è Luciano Berio, chiamato a dirigere l’Orchestra della Radio della Svizzera Italiana. Il compositore sceglie come primo ascolto Points on the curve to find… per pianoforte e 23 strumenti, in cui emerge l’approccio alla stratificazione del suono, partendo dalla parte pianistica, intesa da Berio come “una curva complessa sulla quale gli altri strumenti si posano per interpretarne e svilupparne i caratteri armonici”. Trasmettere l’importanza della centralità della trascrizione, in cui il testo musicale da’ vita ad inesauribili invenzioni in forma di proliferazione, rifrazione e commento, appare finalità chiara di questa raccolta: in quest’ottica di necessità di autenticità e di trasformazione di materiale popolare si inseriscono i Folk Songs composti per Cathy Berberian, il cui strabiliante valore artistico conferma quanto scrive Morelli affermando che le “opere di Berio, tutte, quasi indistintamente, sono altrettanti esperimenti di empatia fenomenologica”. Questo album, in cui l’orecchio ‘storico’ del compositore è “applicato alla scoperta delle estrinsecazioni della evoluzione strumentale nel tempo lunghissimo della musica occidentale”, offre, ‘morellianamente’ parlando, un’immagine ricca e articolata della poetica beriana. La registrazione discografica si completa con la Sequenza VII per oboe solo con Heinz Holliger, e Laborintus II per voci, strumenti e registrazioni su testo di Edoardo Sanguineti.

*Registrazioni effettuate alla Rete Due presso la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (15 novembre 1993) e al Palazzo dei Congressi di Lugano (3 giugno 1976). Regia musicale: Friedrich Schumacher. Coordinamento alla produzione RTSI: Carlo Piccardi.

www.discogs.com/it/Luciano-Berio-Points-On-The-Curve-To-Find-Folk-Songs-Sequenza-VII-Laborintus-II

(Valentina Bensi )

Pensieri per Giovanni